RIORGANIZZAZIONE DEL PERCORSO FORMATIVO UNIVERSITARIO DI MEDICINA: LUCI e OMBRE DELLA RIFORMA FAZIO-GELMINI

Care Colleghe e cari Colleghi,

soffiano venti di Riforma nel panorama della formazione pre e post lauream di medicina. Dopo anni di iniziative e di proposte messe in campo al fine di sensibilizzare le Istituzioni competenti nel senso di garantire alle future professionalità mediche un percorso formativo in linea con gli standard e coi modelli degli altri Paesi dell’Unione Europea (UE), le richieste avanzate dal nostro Segretariato sembrano trovare riscontro (draft proposte in allegato).

– Laurea abilitante in medicina e chirurgia, con anticipazione del tirocinio professionalizzante dell’attuale esame di abilitazione al corso di laurea ed eliminazione dei tempi morti e dei disservizi registratisi negli ultimi nove anni tra il conseguimento della laurea e l’accesso alle scuole di specializzazione (tabella ritardi).

– Ipotesi di riequilibrio dei posti di specializzazione in relazione ai reali fabbisogni delle Regioni, che sono funzione del mutato bisogno di salute in continuo divenire, e non più in base alla capacità formativa delle singole Università. Riduzione della durata delle scuole di specializzazione (vedasi tabella predisposta dai Ministeri) e conseguente accantonamento di risorse da utilizzare per finanziare contratti aggiuntivi.

– Specializzandi degli ultimi 2 anni di corso titolari di contratto di formazione-lavoro con crescente autonomia di esecuzione dei compiti assistenziali (e migliori tutele previdenziali e dei diritti fondamentali quali ferie, malattia, gravidanza, riposo compensativo e radiologico, ecc.) e maggiore compartecipazione delle Regioni al finanziamento dei contratti.

– Incentivazione all’accesso dei giovani medici alla ricerca attraverso la riduzione di un anno del corso di dottorato, per chi possa documentare di aver eseguito attività di ricerca durante la specializzazione (Legge n. 240/2010).

Queste in sintesi le innovazioni che si propone di introdurre l’organico Progetto di Riforma presentato dai titolari del Ministero della Salute e del MIUR, in occasione di una conferenza stampa tenutasi a Palazzo Chigi il 28 luglio u.s., e finalizzato a contrarre il corposo iter formativo dei giovani medici Italiani che si attesta, nella più rosea delle previsioni, intorno ai 12-13 anni, anticipando quindi l’ingresso nel mondo del lavoro e favorendo la costruzione di un più solido pacchetto previdenziale. Se, da un lato, l’impianto della Riforma appare condivisibile per gli effetti connessi alla contrazione dei tempi, dall’altro, lo spirito sottinteso alla stessa, primariamente orientato a logiche di bilancio, desta non poche perplessità. La ratio sarebbe quella di utilizzare i fondi risparmiati centralmente per stanziare ulteriori 2.000 – 2.500 contratti ministeriali l’anno, ad integrazione degli attuali 5000 messi a concorso a fronte di un fabbisogno di circa 8.850 unità indicato dalle Regioni; in tal modo si farebbe fronte alla previsione della carenza di professionalità mediche conseguente al pensionamento di circa un terzo dei medici in attività nel giro di un decennio. Inoltre, già dall’anno accademico 2012-2013 il capitolo di spesa dedicato non sarebbe sufficiente a coprire gli oneri dei contratti di formazione: a «invarianza dei fondi», infatti, dal 2013-2014, avrà piena realizzazione il DM sul Riassetto delle scuole di specializzazione di area sanitaria, che ha elevato la durata dei corsi a 5 anni (ed a 6 anni per alcune branche chirurgiche), con attivazione degli anni aggiuntivi. Primum movens ed obiettivi, dunque, appaiono prevalentemente, se non esclusivamente, di carattere economico. Non a caso l’aspetto che sta maggiormente stimolando la discussione nella categoria si riferisce alla proposta di impegnare i medici in formazione specialistica degli ultimi 2 anni di corso, ribattezzati “strutturandi”, all’interno delle ASL e delle Aziende Ospedaliere. Quello che desta le maggiori perplessità, infatti, è il pericolo che le Regioni decidano di avvalersi di professionalità in formazione, e quindi a basso costo e ad alto tasso di ricambio, evitando di mettere a concorso i posti di dirigente medico che andranno progressivamente liberandosi. Per di più, è noto che il turnover della dirigenza medica ospedaliera prevede di per sé una contrazione: ogni 5 pensionamenti saranno soltanto due i posti liberatisi messi a concorso. D’altra parte, però, è in previsione il potenziamento delle varie articolazioni assistenziali del territorio. Premesso che il S.I.G.M. non avallerà mai uno scenario potenzialmente svantaggioso per le giovani generazioni di medici, soprattutto per quanto attiene alle prospettive occupazionali, si ritiene che l’impegno degli specializzandi nel SSN potrebbe essere condiviso a condizione che 1) l’attività degli strutturandi rimanga integrativa e non sostitutiva di quella degli strutturati (non dovranno quindi figurare nella dotazione delle piante organiche) e che 2) il numero di strutturandi sia vincolato a quello degli strutturati in carico presso le Unità Operative sede di formazione, secondo un rapporto non superiore ad 1 a 5.

Inoltre, in risposta a quanti associano ad una riduzione della durata dei corsi di specializzazione un peggioramento della già, per molti versi discutibile, performance della formazione destinata ai futuri specialisti, è possibile ribattere che il punto discriminante non è la durata temporale, bensì la qualità della formazione, sulla quale si dovrebbe investire a cominciare dal corso di laurea in medicina, scarsamente professionalizzante se comparato alle altre esperienze EU. In tal senso, l’anticipo all’interno di un corso di laurea abilitante dei tirocini professionalizzanti post-lauream, attualmente concentrati nei tre mesi parte integrante dell’esame di abilitazione, sortirebbero l’effetto positivo di arricchire la formazione dello studente in medicina attraverso l’incremento del tempo da destinare alla frequenza della Medicina Generale e del Territorio, oltre che della rete dell’Emergenza-Urgenza e dei DEA. Ma ciò richiederebbe al contempo una contrazione degli spazi dedicati alla talora eccessiva formazione contenutistica, che caratterizza la formazione pre lauream in Italia a discapito del “saper fare”. Inoltre, in sintonia con l’implementazione di un Sistema Salute integrato Ospedale-Territorio, tale da garantire la continuità delle cure, anche la formazione post lauream del medico dovrebbe trovare una corrispondenza a tale modello, ampliandosi significativamente sia la casistica clinica che le prestazioni accessibili agli specializzandi, fermo restando il primato della metodologia dell’insegnamento e della ricerca appannaggio delle Università. È lecito ipotizzare, infine, che una riduzione del percorso formativo, ancorchè minima, potrebbe innescare a ritroso un processo virtuoso di responsabilizzazione dei formatori, i quali dovrebbero rendere conto e ragione, in controtendenza rispetto al vigente sistema a finalità anche di ammortizzazione sociale, di licenziare un “prodotto finito” pronto ad esercitare con autonomia e competenza la professione medica.

In ultima analisi, una riforma della formazione medica appare quanto mai necessaria, se si vuole allineare il nostro Paese alle esperienze degli altri Paesi EU, ed a maggior ragione se si tiene conto del processo di riorganizzazione e rifunzionalizzazione che sta interessando il SSN in risposta all’aumento dell’aspettativa di vita alla nascita e delle patologie croniche, cronico-degenative ed invalidanti, alla sempre più spinta innovazione tecnologia, a fronte della sempre più esigua disponibilità di risorse da destinare alla Sanità.

Il S.I.G.M. si è dichiarato aperto al confronto, purché finalizzato al reale miglioramento della condizione dei giovani medici, che non può prescindere dall’implementazione degli standard formativo-professionalizzanti pre e post lauream, e per questo ha chiesto (allegato 4) ed ottenuto (allegato 5) l’avvio di un confronto con le Istituzioni, nonchè la promessa della costituzione di un tavolo tecnico al quale siedano tutti i portatori di interesse, a cominciare dai delegati delle associazioni di categoria, con l’intento di coniugare l’esigenza di cambiamento con le aspettative dei giovani medici. Sebbene la complessità della Riforma, che dovrebbe intervenire su più livelli normativi, preluderebbe a tempi non brevi per la traduzione pratica del progetto – in ogni caso i Ministeri avrebbero previsto che gli specializzandi in corso potrebbero optare per portare a termine i loro studi con le vecchie regole, oppure afferire al percorso abbreviato – di contro appare opportuno investire da subito coloro i quali subirebbero in pieno gli effetti della riforma, ovvero gli attuali studenti in medicina, delle determinazioni conseguenti all’introduzione delle innovazioni annunciate, a cominciare dalla proposta di adozione di un concorso di accesso alla specializzazione a graduatoria unica nazionale, della quale non si ritrova traccia alcuna nella bozza di proposta dei Ministri. Soltanto attraverso un modello partecipativo sarà possibile ottenere una condivisione consapevole ed orientata di un processo riformista che, per definizione, ingenera fisiologicamente ansia e diffidenza. Ma occorre un’assunzione di responsabilità da parte delle giovani e delle future generazioni di medici, non più delegando le decisioni a terzi ancorati a logiche gerontocratiche e sindacaliste, bensì facendo ricorso alle capacità adattative richieste per affrontare le criticità della Sanità del XXI secolo, al pari di quanto già in corso d’opera nelle Nazioni “concorrenti”.  Giunge al caso nostro, a tal proposito, una dotta citazione di un celebre postulato della teoria evoluzionistica di Charles Darwin: Non sono le specie più forti a sopravvivere, né le più intelligenti, ma sono quelle che riescono a rispondere con maggior prontezza ai cambiamenti”.

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